Il giornalismo d’inchiesta non è mai esistito. In Italia.

Se “riveli” particolari di inchieste giudiziarie, non stai facendo un’inchiesta, ma sei la buca delle lettere della Procura. O degli avvocati. O delle parti civili. Non stai facendo un’inchiesta.

Se pubblichi “esclusive” su indagini, sei un cronista di nera che riferisce quel che gli dicono gli investigatori. Non stai facendo un’inchiesta

Se anticipi i contenuti di questo o quel provvedimento politico, magari definendolo una “porcata”, sei megafono della maggioranza o dell’opposizione che ti hanno passato la notizia. Non stai facendo un’inchiesta.

Se racconti “una storia”, non stai facendo un’inchiesta.

Se fai un “viaggio” fai un reportage, non un’inchiesta.

Se esprimi la tua opinione, non fai inchiesta. E nemmeno il giornalista, ma l’opinionista.

Nei giornali-telegiornali-siti italiani c’è tutto questo, più una discreta quantità di imprecisioni e bufale. Non “giornalismo d’inchiesta”.

E forse non c’è mai stato.

Twitter ha vinto?

Mi è stato ricordato che oggi è il quinto anniversario del mio esordio su Twitter. Forse ce n’era stato uno precedente, poi abbandonato, ma insomma…
A parte le date presunte, posso dire che l’uccellino è progressivamente diventato il mio social media preminente. Pur abitando altre realtà in rete, Twitter rappresenta per me uno strumento di consultazione ormai imprescindibile nella giornata.
Ovviamente il mio uso dipende dalla mia condizione professionale, quella di giornalista di agenzia abituato e quasi “ammalato” di aggiornamenti a ciclo continuo. È altrettanto vero che il mio flusso di cinguettii non è fatto di notizie, né preminentemente di account di colleghi. Ci sono osservatori e retwittatori, questo sì, per cui l’attualità irrompe in un contesto che però è anche di riflessioni, battute, link, foto, spiritosaggini e confidenze.
Dunque, un po’ di tutto di quel che mi circonda e che amo.
Il resto fa da contorno: Facebook ha un ruolo di risulta (grazie a Selective tweets), il blog personale mi impegnerebbe troppo tempo, ora come ora, per una cura più assidua.
Devo dire che anche professionalmente Twitter aiuta molto, nella raccolta di spunti e fonti da approfondire, in un lavoro comunque di distribuzione velo e delle notizie che è quello dell’agenzia.
Per inciso, sono il redattore ANSA con più followers :-), e modestamente ho contribuito alla nascita dei primi canali ufficiali dell’agenzia su Twitter. Sì potrebbe far meglio, ma ci abbiamo anche guadagnato un premio.
Al netto delle strategie future di questo prodotto, lunga vita!

P.S.: @mante sarebbe il mio “padrino” della mia entrata su Twitter. Grazie Massimo, ma che vuol dire?

Le “profezie” di Twitter

Ha senso esclamare che il web, in particolare Twitter, precede tutti i media tradizionali sulle notizie. Anzi, è addirittura più veloce di un terremoto, o più semplicemente della morte di un ex presidente?

Oppure è solo la ripetizione alla velocità del web del vecchio meccanismo legato alla circolazione di voci non controllate, un po’ come le chiacchiere al bar, in attesa che qualcuno le “solidifichi” con controlli precisi e professionali?

Non lo so, ma mi sembra che ci debba essere sempre qualcuno che verifica, e che lo faccia in maniera persistente e per questo professionale. Chiamateli giornalisti o “DJ della notizia”. In questa dinamica ce ne vogliono, così come in passato è successo per le agenzie a servizio dei giornali e ora, in senso lato, per tutta l’audience del web, e della società in genere. Che usa Twitter o Facebook con una sorta di setaccio per poi analizzare e verificare e poi rilanciare.

Poi si apra il dibattito sui blog o sui commenti.

[UPDATE] Elvira Pollina ne scrive più approfonditamente (e polemicamente) sul suo blog.

Quali inchieste?

Non provo particolare eccitazione per il fatto che Repubblica.it aggiunga materiale video, audio e altri ammennicoli multimediali a una pseudo-inchiesta che ricorda i vituperevoli “puttan-tour” della gioventù sfaticata anni ’80.
Se questo è il valore aggiunto dell’informazione ai tempi di internet, mi sembra ben poco diverso alle foto di qualche particolare scabroso delle periferie di Roma di Panorama gestione-Belpietro, tanto per generalizzare.
Dove sono le cifre del fenomeno, dove i perché? C’è chi li aiuta, sti ragazzi? O siamo al documentario simili-Jene?
Beninteso, sono stufo anche di quei pseudo-reportage confezionati dalle grandi firme che si fanno un paio di giorni in albergo spesato, entrano nella redazione di un quotidiano locale, si fanno dire due cose, sentono il personaggio-simbolo (per loro), scrivono una paginata in bell’italiano poi pubblicano un libro raccolta qualche mese dopo.
E si costruiscono una loro realtà virtuale.