Quale professione?

Io sono uno che riesce a farsi mettere “in crisi” – nel senso positivo – anche dalle contumelie e dalle idiozie, ma vorrei riuscire a capire qualcosa di più sul senso di ciò che faccio e del mio lavoro. Soprattutto quando questo lavoro è una professione esposta alle critiche di tutti e non solo degli addetti ai lavori.

C’è una linea di difesa della professione di giornalista che a mio parere sta scricchiolando da molto tempo, ed è quella che insiste sul concetto di “professione”: “Vi fareste operare da uno non iscritto all’ordine dei medici? No? E allora vi fidereste di una notizia trattata da chi non lo fa per professione?”. A parte il fatto che le bufale e le stupidaggini da chiacchiere al bar non si contano più, sui vari tipi di medium, dalla carta al web passando per la tv e la radio, e a parte il fatto che di medici cialtroni che continuano a professare imperterriti ce n’è anche troppi…

Guardiamo a come si è evoluta – o devoluta – la sedicente professione. Gianluca Amadori, presidente dell’Ordine veneto, ha usato spesso la definizione di “insaccatori” di parole, di comunicati stampa o di notizie d’agenzia, per i colleghi ridotti a ingranaggi di una macchina editoriale. E questa è colpa degli editori certo, anche se molti colleghi vi si trovano bene dentro: un bello stipendio col minimo sforzo.

Ma è anche vero che non vale più nemmeno la retorica della “strada”: “Io vado a trovarmi le notizie sulla strada, ho le mie fonti, le notizie le trovo, non le aspetto”. Certo, bene. Ma chiediamoci anche dove è finito l’approccio critico alle fonti. Molti colleghi – anche molte testate – sono diventati non degli “insaccatori” ma sostanzialmente dei portavoce, di teorie, di ideologie, di pregiudizi. Uno potrebbe obiettare: si chiama “linea editoriale”. Ma a volte sembra essere un laccio da cui non ci si riesce a liberare, nemmeno di fronte all’evidenza di alcuni fatti. E l’istituto della rettifica viene messo bellamente da parte

Che differenza, allora, con il “citizen” che fa da megafono molte volte a teorie bizzarre, a bufale, a complotti? Non è vero che ormai anche noi professionisti pecchiamo di superficialità, fretta, voglia di dare spettacolo, esibizionismo? Tutto questo cosa ha a che fare con il professionismo?

Dovremmo tornare – altro bell’aggeggio retorico – al rispetto per il “lettore”. Un lettore abbassato al rango di target pubblicitario fa tanto anni ’80, ed è un concetto ampiamente biasimato (anche se credo sia ancora ben vivo); altrettanto lo è il lettore concepito come “pubblico” da piegare alle proprie convinzioni, da “affiliare” (ma dopo un po’ si stancherà, vedrai).

Da dove ripartire, se si vuole ripartire, per dare dignità al giornalismo? Dalla cura, dalla verifica, dal soppesare le cose, dal voler capire senza aver già capito tutto? Domande da Ferragosto…

Accelerare

Stanno succedendo cose da noi, forse meno violente rispetto a ciò che è stato visto in altre parti del mondo.

Ma l’impressione è che una pagina stia per essere voltata, anche nel nostro Paese. Sarà il nuovo governo, sarà la stanchezza di tante inutili contrapposizioni forzate.

E la necessità impellente di cambiare qualcosa. Nelle istituzioni, nelle strutture – non solo nostre, anche quelle più globali.

Poi c’è chi resiste, chi dice che “era sempre così, cosa vuoi cambiare”. Oppure chi agita spauracchi e totem da difendere. Un po’ come quelle brutte periferie che bisognerebbe abbattere e invece qualcuno vagheggia come “tradizione” e invece sono solo ruderi.

La mia generazione è stata invitata ad accelerare, a non aver paura del nuovo, del futuro. C’è invece qualcuno che non vuole vederlo, quel futuro. Certo, magari non lo vedremo completato noi. Però occorre accelerare, cambiare. Siamo pronti?