Corsi e ri-corsi

[Cose di insegnamento…]

Ogni tanto si ritorna sul luogo del delitto. Per esempio, al Centro Kolbe di Mestre, dove sono stato allievo e pure “docente” dei vari corsi di cultura del giornalismo negli anni passati (e qualche allievo ancora ci campa…)

Stavolta mi produrrò in un corso di “Giornalismo ai tempi del Social”, assieme all’illustre Carlo Felice Dalla Pasqua.

Le iscrizioni sono aperte fino al 30 aprile. Sono cinque incontri da due ore e mezza a Mestre.

Se qualcuno è interessato, si faccia avanti numeroso!

“L’Ortocollo!” è pronto

Sono riuscito a pubblicare un altro ebook da quella miniera ultradecennale che è Frasistoriche
Ringrazio Antonio Tombolini che ha la fissa degli ebook e che ha promosso la piattaforma BackTypo, così da permettere a chi ha poca dimestichezza con editoria, pubblicazione, promozione… di fare da sé.

Sono contento.

Buon Natale a tutti.

Frasistoriche

Come promesso da qualche parte, ecco il libricino che Frasi Storiche ha preparato per il Natale 2014!

copertina

Una nuova raccolta delle fantasmagoriche produzioni del cervello dei piccoletti, che ho raccolto dopo il fortunato “Ho una testa di cervello!”, in questo blog e nelle “appendici” sociali, come Twitter e Facebook, o più semplicemente da confidenze e suggerimenti di amici e parenti.

E’ in tutti i formati di ebook, nelle migliori librerie online (grazie alla piattaforma Narcissus), e costa molto poco, 0,99 euro, giusto per lo sforzo di pubblicazione.

Buon Natale e buon divertimento

Andrea

Aggiornamento:

Ecco un po’ di link dei vari posti in cui si può acquistare L’Ortocollo:

Amazon Kindle Store

iTunes

Play Google

Bookrepublic

Ultimabooks

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Buon Pastore

E’ difficile per me non farmi prendere dall’emozione a scrivere e ripensare al patriarca Marco Cè, che ci ha lasciato lunedì 12 maggio.
Difficile perché è stata una di quelle figure imprescindibili per la mia generazione – e per quella di altri che hanno avuto la grazia di vivere negli anni del suo mandato a Venezia – per stile, parole, valori.
Un uomo schivo, defilato, timido. Gli avrò parlato sì e no una decina di volte in tutto, e sempre brevi scambi – una volta mi chiese di un viaggio in Irlanda… – magari con qualche battuta scherzosa, quando don Valerio si intrometteva, per “salvarlo” dall’assalto dei giovani che venivano a sentirlo. Lui aveva già parlato a ognuno di noi, anche quando parlava in pubblico a centinaia di persone. Si sentiva – o almeno io sentivo – che ti interpellava personalmente. E non con toni particolarmente enfatici o trascinanti, da predicatore o da figura ieratica. No, lui declinava con semplici parole la Parola, che per lui è stata tutto. Aveva una grandissima cultura biblica e pastorale, e ti stava ad ascoltare, ma non si rifeirva mai a se stesso; piuttosto, faceva entrare nel tuo cuore e nella tua coscienza la dolcezza e la semplicità di Dio.

Per me adolescente degli anni ’80 fu folgorante l’appuntamento della Festa dei Giovani a Udine. Chi dei miei coetanei non ha sempre in mente l’Alleluja canto per Cristo, il Laudato sì, Signore mio? Eppure, al di là del clima di festa, Marco Cè ci voleva consegnare il nuovo Catechismo dei giovani, e la Parola di Dio.

Formazione e Parola. Questo insegnò alla sua Chiesa di Venezia. Non si contano le iniziative che, con molta discrezione, suggerì e sostenne: la scuola biblica, la scuola di teologia per laici, la scuola di formazione politica…
Sostenne e promosse, sempre con discrezione, l’Azione Cattolica. In un periodo che viveva tensioni “attiviste” e “presenzialiste” per i cristiani nella società. Di fronte alle “vittorie” effimere puntava al convincimento profondo, a lungo termine. Altri studieranno la sua opera anche nella società veneziana di quel tempo, uscita dal terrorismo e dalle tensioni degli anni ’70.

Ma non si può racchiudere l’avventura di un cristiano e di un vescovo come Marco Cè in realizzazioni o teorie. La generazione di noi che lo ha avuto come Pastore sa che a farcelo amare sono stati il suo stile, la sua preghiera, il suo indicarci sempre la Croce, la Bibbia, l’Eucaristia. Come fare questo? Come realizzare quello? “Guardate al Signore”, è sempre stata la sua risposta, così come lui ha sempre fatto, fino alla fine.

Poi ci sono i piccoli pensieri e le piccole attenzioni per tutti. Anche per me, che le custodisco gelosamente.
Dio ti accolga, e prega per noi, Patriarca Marco.

Ho una testa di cervello!

Avevo voglia di rimettere in circolo quel piccolo ebook che ho ricavato nel 2009 dall’altro mio “storico” blog Frasistoriche, quello che raccoglie gli aneddoti fulminanti dei più piccoli.

Ho smanettato dapprima con Kdp, e ne è uscita l’edizione per Amazon Kindle (per chi ha il device). Quindi, a voi l’ebook, con quattro soldi.

Poi però ho scoperto Narcissus e stanno uscendo anche edizioni in forma epub per le altre piattaforme di vendita. Maggiori aggiornamenti di là.

Adesso mi gaso e vien fuori magari una nuova edizione aggiornata agli ultimi 5 anni di Frasistoriche… ma con calma.

C’è sempre un’altra strada

Prendo a prestito la conclusione del libro di Silvia Giralucci (ammazza! pure una pagina wikipedia!), cui mi lega un periodo di lavoro comune, e che dopo un bel po’ di tempo sono andato a sentire ieri sera a Carpenedo, in un incontro con Gianfranco Bettin.

Con loro parlavo di come quella tragica stagione dei ’70 non l’abbiamo vissuta direttamente, ma nel suo prosieguo post-ideologico. Si diceva che all’indigestione di politica che ha messo di fronte, anche in maniera sanguinaria, gruppi ideologici – direi tribù – di tanti giovani, è seguita un’era di individualismo, che forse non ha consegnato nelle mani della nostra generazione le “chiavi di casa” per un’evoluzione positiva della nostra Italia. tanto che la politica e il potere in senso lato sono rimasti nelle mani di una classe vecchia, visto che quella appena precedente è stata “bruciata”. O ha costruito un sistema di potere autoreferenziale…

Il ragionamento di Silvia – la cui crescita è stata anche segnata da una morte “di cui non si doveva parlare” – è forse pessimistico ma vero. Vero è che noi, nati nei ’60 o giù di lì, non ci siamo formati con l’odio ideologico, abbiamo rotto gli steccati, abbiamo avuto la possibilità di una riconciliazione. Certo, poi esistono nostalgici, altri giovani che “scherzano” con la violenza scambiando le persone con i simboli. O ci sono quelli che si scambiano per personaggi, che indossano maschere, a vole solo squallide e tristi.

Ecco, la “mia generazione” l’ho vissuta guardando nell’altro una persona. E’ quello che ha fatto Silvia cercando le persone prima che simboli o personaggi. Magari sbattendo il muso, ma sempre con fiducia.

Forse bisogna ripartire guardando negli occhi l’altro e non aver paura di mostrare i propri. Ed è quello che vorrei consegnare ai miei figli.

P.S.: Graziano Giralucci e Giuseppe Mazzola furono uccisi il giorno del mio decimo compleanno. Quest’anno sono 40 anni dal primo omicidio targato BR

Giornalista? Io?

C’è un ruolo sociale che sto ricoprendo in maniera diversa e nuova anche grazie all’uso dei social?

Il dubbio mi viene dai feedback delle persone che incontro. Feedback non costituito da commenti, like o retweet ma semplicemente dai commenti a voce, quando ci si incontra per altre cose e ci scappa il commento sulla mia produzione social, che fa parte del nostro tempo.

Così amici e conoscenti mi hanno “riso in faccia” citando tweet e post delle mie disavventure ferroviarie. Oppure mi hanno fatto i complimenti quando segnalo link o notizie sulla vita della città o sulla politica, su Twitter o Facebook.

E allora mi chiedo qual è la mia identità che viene rappresentata in Rete.

Perché di rappresentazione si tratta, e forse molti se lo dimenticano, quando chattano, postano, twittano, scrivono un blog.

E – metti caso che i social vengano usati per il recruiting dalle aziende – si vede che sono un giornalista? Forse perché trattengo sull’attualità, magari con qualche considerazione personale? Perché vario a 360° un po’ su tutto quel che mi circonda? Forse.

Non è banale farsi domande del genere, anche per chi è un “semplice utente”.

Coprifuoco immaginari

 

Immagine

Questo cartello campeggia nel mio quartiere, grossomodo in un’area tra la Stazione di Mestre, via Piave e il parco del Piraghetto.

Sembra che in quest’area sia dunque in vigore una limitazione all’ingresso nelle ore notturne. Pare una sorta di “coprifuoco”, in sostanza. Qualcuno lo sapeva o se lo ricordava?

In realtà questa “chiusura” risale a un’ordinanza comunale di circa una ventina di anni fa, emessa in seguito alle proteste dei residenti disturbati dal transito dei clienti delle “lucciole”, che strategicamente si piazzavano nelle stradelle interne del quartiere, e lì parcheggiavano e “consumavano”. Per garantire il tutto, rinforzo della vigilanza e “giri” delle forze dell’ordine, con multe salate per i trasgressori.

Sono passati una ventina d’anni, ed evidentemente l’ordinanza è ancora in vigore, se è vero – com’è vero – che questi cartelli sono stati montati anche in occasione del recente “maquillage” della segnaletica. 

Eppure le cose sono cambiate. La viabilità è stata rivoluzionata da un dedalo di sensi unici, che scoraggiano gli automobilisti che – di giorno – scambiavano la zona per una scorciatoia alle vie principali nelle ore più trafficate, magari correndo a velocità sostenute in mezzo alle case. E’ una “zona 30” (all’ora), con incroci rialzati a precedenza pedonale, parcheggi a pagamento (contro chi molla la macchina per prendere il treno).

Eppure le lucciole sono tornate. Sono intorno a via Piave e dentro il quartiere del “coprifuoco”. Sono ragazze dell’Est, ma anche cinesi. Cominciano presto, anche prima del tramonto. Le macchine dei clienti passano, le caricano, e via. Non credo che siano state elevate contravvenzioni ai trasgressori di tale divieto “perentorio”.

Ci sarebbe anche un progetto del Comune di Venezia per togliere queste donne dalla strada; credo di aver anche visto girare il camper con gli operatori, ma solo girare.

In giorni in cui si mormora perché un parroco chiede al sacrestano di tener lontano alcuni accattoni violenti durante le messe, forse giova ricordare tutte quelle progettualità, quelle grida manzioniane o quegli stratagemmi, quelle “soluzioni definitive” che si lasciano morire pian piano…

E’ tutto un grande gioco

Ho sempre avuto un approccio “ludico” alle novità, siano esse tecnologiche che internettiane, o legate all’evoluzione della mia professione. Forse questo non ha favorito la mia capacità di analisi e approfondimento (ma ci sono sempre altri che lo fanno al posto mio), e mi ha a volte costretto a un “dentro e fuori” da esperienze poi risultate vincenti, ad esempio Twitter o Facebook.
Quindi mi interessa molto tutto quel che si agita tra i “malati” di social e smart, magari con un occhio critico. Non però scettico.
Ecco, io credo – e questo è il senso di questo post – che l’atteggiamento giusto per la novità debba essere quello del gioco, del coinvolgimento “non malato”. Forse non contribuirà alla riflessione, ma non creerà dipendenze patologiche e forse una capacità di distacco e analisi maggiore, senza scetticismi preconcetti.
Detto questo, buon divertimento alla Social Media Week.